
La riforma delle pensioni si libera dalla lunga fase di stallo che l'ha caratterizzata negli ultimi tempi, accelerando i tempi in vista della legge di Bilancio imminente. Tuttavia, le prospettive si dimostrano ben diverse da quanto si è discusso in passato. La tanto attesa riforma delle pensioni, la famigerata quota 41 per tutti e la possibilità di pensione flessibile a 62 anni sembrano ormai destinati a rimanere soltanto parole vuote. Questa direzione è dettata principalmente dalla situazione finanziaria del paese, che rende impraticabile l'attuazione di queste misure.
Le priorità del governo si concentrano su altre questioni cruciali, come la gestione delle bollette, la riduzione del cuneo fiscale, l'implementazione del reddito di inclusione e la riforma fiscale. Per quanto riguarda le pensioni, sembra che solo una piccola parte dei fondi previsti nella manovra finanziaria, ovvero appena 4 miliardi su un totale di 40 miliardi, verrà destinata a questo settore. Gran parte di questi fondi sarà utilizzata per la rivalutazione degli assegni pensionistici, tenendo conto delle differenze tra il tasso di inflazione del 2023 stimato poco più del 7% e l'effettivo tasso di inflazione ben oltre l'8%, insieme a una nuova indicizzazione.
Di conseguenza, rimarranno risorse limitate per le nuove misure di pensionamento, con la possibilità di estendere solo di un altro anno la cosiddetta quota 103. L'Ape sociale verrà confermata, ma con alcune modifiche, mentre Opzione Donna subirà un rinnovo parziale.
Tuttavia, emergono alcune interessanti nuove proposte nel panorama delle pensioni. Il governo sta prendendo spunto da modelli applicati in Paesi industrializzati come Svezia e Norvegia, noti per il loro elevato tenore di vita. In particolare, sta considerando l'idea della pensione part-time, un concetto innovativo che coniuga lavoro e pensione. In questi Paesi scandinavi, si riducono le ore di lavoro per i lavoratori anziani, permettendo alle aziende di assumere personale giovane.
I dipendenti anziani vedrebbero una progressiva riduzione dell'orario di lavoro nei loro ultimi anni di carriera, con uno stipendio inferiore ma una pensione supplementare. Continuerebbero a versare contributi come se lavorassero a tempo pieno, garantendo una pensione completa una volta raggiunta l'età pensionabile. Ad esempio, in Svezia, i dipendenti pubblici possono ridurre l'orario di lavoro fino al 50% a partire dai 61 anni, ottenendo una pensione part-time pari al 50% di quella maturata. Questa situazione perdura fino ai 65 anni, quando è possibile accedere alla pensione a tempo pieno.
In Italia, si sta pensando a una pensione part-time a partire dai 64/65 anni, con i lavoratori che rimangono in servizio a orario ridotto. Riceverebbero una pensione commisurata all'orario di lavoro svolto, grazie ai fondi dell'INPS, garantendo al contempo la contribuzione completa per la futura pensione a 67 anni. Questo sistema consentirebbe ai lavoratori di ridurre il loro impegno lavorativo a metà tempo, ottenendo una pensione vera e propria per la parte di stipendio mancante.