Pattern

Pensioni, mancano i soldi: ecco chi rischia di dover tornare a lavorare

Pensioni, mancano i soldi: ecco chi rischia di dover tornare a lavorare

Il problema del sistema pensionistico italiano non riguarda solo l’età di uscita dal lavoro, ma sempre più spesso l’adeguatezza economica degli assegni erogati. Le riforme del passato, dalla Dini alla Fornero, hanno progressivamente spostato il focus sul sistema contributivo, legando in modo sempre più rigido l’importo della pensione ai contributi effettivamente versati durante la vita lavorativa.

ASSEGNI TROPPO BASSI PER VIVERE DIGNITOSAMENTE

Secondo i dati INPS aggiornati ad aprile 2025, l’importo medio lordo delle pensioni si attesta a 1.229 euro al mese, con una netta disparità di genere: 1.486 euro per gli uomini, appena 1.011 euro per le donne. Dati che diventano ancora più critici per chi ha avuto carriere discontinue, lavori precari o mal retribuiti.

Il passaggio completo al contributivo puro, ormai inevitabile per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996, rischia di generare assegni sotto la soglia dei 1.000 euro, senza possibilità di integrazione al minimo, che oggi è garantita solo a chi ha almeno una parte di pensione calcolata col sistema retributivo.

IL RISCHIO: TORNARE A LAVORARE ANCHE DOPO LA PENSIONE

Per molti pensionati del futuro – e sempre più anche del presente – l’importo dell’assegno non sarà sufficiente a coprire le spese di base. Di fronte a questa situazione, il ritorno al lavoro diventa un’opzione concreta, non per ambizione ma per necessità.

Il sistema lo consente: tranne che per alcuni regimi agevolati come Quota 103, pensione e redditi da lavoro sono cumulabili. Non solo: i nuovi contributi versati in caso di reimpiego permettono anche di ottenere un supplemento pensionistico. Ma il fatto stesso che un pensionato debba tornare al lavoro per vivere rappresenta una sconfitta per lo Stato sociale.

UNO SQUILIBRIO CHE MINACCIA ANCHE I GIOVANI

Il ritorno dei pensionati nel mercato del lavoro potrebbe avere effetti distorsivi, rallentando ulteriormente il ricambio generazionale e riducendo le opportunità per i lavoratori più giovani. Si rischia di creare un circolo vizioso: pensioni insufficienti, nuovi ingressi bloccati, precarietà crescente.

In questo scenario, la previdenza complementare rappresenterebbe una possibile ancora di salvezza. Tuttavia, solo un terzo dei lavoratori vi aderisce, e tra questi spesso mancano proprio le categorie più fragili, ovvero quelle che avrebbero più bisogno di integrare la pensione.

PROIEZIONI PREOCCUPANTI PER I PROSSIMI ANNI

Secondo l’ISTAT, entro il 2050 l’Italia avrà oltre 20 milioni di pensionati a fronte di appena 26 milioni di lavoratori attivi. Un rapporto insostenibile per un sistema a ripartizione come quello italiano, che poggia sulla contribuzione corrente.

Nel frattempo, mancano le risorse per riformare in modo strutturale il sistema. Nessun governo recente ha davvero affrontato la questione dell’adeguatezza degli assegni, preferendo agire – quando possibile – sull’età pensionabile.

L'ALLARME DELL'EUROPA

Anche la Commissione Europea ha lanciato un segnale chiaro: “Senza correttivi, il sistema contributivo rischia di produrre pensioni troppo basse per garantire una vecchiaia dignitosa”.

Eppure, come ricordava lo stesso Mario Draghi durante il suo mandato, dal contributivo non si torna indietro. L’unica opzione realistica è un rafforzamento delle tutele integrative e delle politiche attive per il lavoro, affinché la pensione resti una conquista, non una tappa temporanea da cui si è costretti a tornare indietro.

Share: